The Florida Project

09.22.2022

Sean Baker crea un capolavoro di colori e contrasti in “The Florida project”. Il mondo reale ai margini della società. Il sogno che si “sente” così vicino. La resilienza dei bambini che sono e devono essere meravigliosamente bimbi.

The Florida Project: un viaggio nella periferia di Orlando, uno spaccato dell’America più dura, così lontana eppur così vicina al sogno americano.

“The Florida project” o “Un sogno chiamato Florida” ? I significati di due titoli diversi

Project e Sogno: nel titolo italiano si perde parte del significato originario conosciuto forse più dal mondo anglosassone e dalla cultura americana.

Partiamo proprio dal titolo originale e concentriamoci sul termine “Project”. Questa parola fa riferimento all’housing project, ovvero un progetto di edilizia realmente esistito in quella zona degradata di Orlando, location del film. Un progetto fallito. Così come è naufragato il progetto urbano di Disney che proprio intorno ai parchi tematici voleva realizzare un modello di città che risolvesse i problemi della società, delle persone che avrebbero lavorato a Disneyland ed avrebbero vissuto con le loro famiglie in una “magica bolla” circostante.

Utopia… o forse Il Sogno….

Ed il titolo italiano fa riferimento proprio al sogno americano, a quella speranza che tutto si può sempre risolvere: come i protagonisti del film risolvono in maniera più o meno creativa le avversità che si presentano giorno dopo giorno, così il sogno prende forma e vita in quella corsa disperata alla fine del film: il sogno non è più “rumore”, ma è realtà.

La fotografia

E’ la fotografia che mi ha catturata in pochi fotogrammi, tenendomi incollata a questo film.

Il genio del regista si vede nelle riprese, in quelle immagini ampie, panoramiche che ti fanno sentire immerso nelle ambientazioni del film.

La magia di questa pellicola parte dai colori intensi che ti attirano e ti ipnotizzano davanti allo schermo.

Colori esasperati che vanno a coprire una realtà che potrebbe essere descritta solo con una scala di grigi.

Protagonisti indiscussi della pellicola sono i motels dove vivono i protagonisti: il Magic Castle e Il Futureland. La realtà che vive nella finzione: il Magic Castle ha qualche richiamo ai castelli, quelli che dovrebbero appartenere a principi e principesse. Qualche torre, qualche merletto che spunta qua e là. E quel colore rosa intenso, quelle porte viola che rendono la location surreale, così finta da far scordare che all’interno vi sia una realtà così cruda.

E tutto ciò che circonda la vita dei piccoli protagonisti è tanto attrattiva quanto finta. Sembra di essere in un parco giochi…. ed in effetti il parco dei sogni non è poi così lontano.

Per tutta la durata del film la fotografia rappresentata da forme geometriche e colori brillanti ti attrae come il canto delle sirene: la spremuta la si compra all’interno di una enorme cupola a forma di arancia; il gelato lo si gusta in quel chiosco a forma di cono che ha come tetto un enorme “frosting”, con tanto di “sprinkles”; i regali si comprano nell’enorme gift shop con il gigante mago dalla barba lunga e dall’alto cappello a troneggiare sul negozio.

I bambini e la loro visione del mondo

Moonee, la piccola protagonista del film, ti porta nel suo mondo: 6 anni, capo di una gang di piccole canaglie, vive con la madre al Magic Castle, un motel nella periferia di Orlando che di magico ha ben poco, se non nella mente di Moonee.

E’ cosciente di vivere in una realtà ai margini della società, ma questo non è un problema: la sua realtà, quella che si costruisce giorno dopo giorno, è talmente affascinante da superare tutto il resto.

Dice parolacce; fa esperimenti con i pesci in piscina… che raramente sopravvivono o resuscitano; fa gavettoni ai turisti e chiede loro le mance per comprare quel grosso gelato da condividere con i suoi migliori amici. Spia le signore stravaganti che prendono il sole in topless in quella piscina squadrata del motel; si intrufola dove è vietato, qualche volta in una semplice stanza del motel causando piccoli danni, qualche volta in quelle case disabitate causando poi un terribile incendio… che poi… forse… così terribile non è, diventando un evento per gli abitanti del luogo che non hanno molti eventi di cui parlare e distruggendo quello che comunque è considerato uno scempio ed un’area di degrado nel degrado.

La noia la porta sempre a trovare qualcosa di nuovo da combinare… per questo i momenti di noia sono veramente pochi.

Il degrado

Il degrado è raccontato tramite gli oggetti del motel: quei materassi pieni di cimici da buttare, quelle lavatrici di cui solo la metà è funzionante, quella macchina del ghiaccio che di ghiaccio proprio non ne fa, nemmeno nelle giornate più torride.

Spazi angusti dove vivere giorno dopo giorno.

In questi luoghi vivono i bambini con la loro capacità di vivere il singolo istante, di vivere i momenti di gioia nei giochi semplici, negli scherzi, nei momenti intensi vissuti con i loro amici.

In questi luoghi scorrono poi le vite dei genitori, in particolare di quelle madri single, di coloro che fanno lavori più o meno legali per cercare di tirare fine mese.  Adulti che non sono più in grado di vivere con la “semplicità” dei bambini, ma che non smettono di crederci, di cercare soluzioni, di essere creativi per poter sopravvivere in quel mondo che è tutt’altro che rosa…

Il manager del motel

Ed è uno straordinario Willem Dafoe il manager del motel, Bobby.

Si occupa di tutto: gestisce la contabilità, parla con il pubblico esegue i lavori di manutenzione di tutto quanto non funziona…

Sì, la realtà è che mette toppe, non solo agli oggetti, ma anche alle vite delle persone.

E’ una presenza costante ed incredibilmente importante per chi vive a Magic Castle: nonostante il carattere burbero è l’angelo protettore di tutte le piccole canaglie che sanno che con lui sono al sicuro, anche quando lo perseguitano con scherzi.

E Bobby ha un altro compito fondamentale nel motel: far rimanere incredibilmente vivace il colore esterno delle pareti, quasi a voler attenuare il grigiume delle vite che scorrono all’interno.

In quell’area l’apparenza conta più della realtà…

Il suono del sogno

Il sogno di Disney è proprio a due passi da quei motel di periferia e si sente durante tutta la durata dei film.

Non si intravede subito, si capisce man mano.

Il sottofondo del film è infatti il rumore di motori, di eliche. È talmente frequente che quasi non ci fai più caso, anche se ti rimane in testa, anche se al principio non capisci, non sai di cosa si tratti.

È un rumore che fa da costante non solo al film, ma alle persone che vivono in quella periferia, è il rumore degli elicotteri dei turisti, di chi si può permettere un volo sopra Disneyworld, sopra Orlando. È il rumore del sogno, di chi ce l’ha fatta nella vita, di chi non si limita ad ascoltarlo dal basso.

Un sogno chiamato Florida 

Ma anche nelle situazioni più disperate  c’è sempre il sogno, che non arriva dall’alto come un elicottero, ma che va conquistato… sì anche attraverso una corsa disperata.

È il sogno di Moonee, quello per cui corre a perdifiato: fugge dalla realtà e rincorre il sogno.

È il sogno di Sean che corre insieme a Moonee: corre e riprende la corsa con un cellulare.

Sì è un cellulare a riprendere le ultime scene di un film capolavoro, è un cellulare a trascinarti in quella corsa disperata, è un semplice cellulare a far capire il genio artistico di un regista.


FOTO di COPERTINA: Immagini da Canva